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Controversie etniche in Macedonia

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È un marzo di sconti tra etnie quello che vive la Macedonia. Un marzo che fa ripiombare la popolazione della piccola repubblica balcanica nell’atmosfera da guerra civile vissuta nel 2001 sulla scia del conflitto in Kosovo. A scontrarsi sono ancora le due etnie che convivono all’interno dei confini dello Stato: quella cristiano – ortodossa macedone (la maggioranza della popolazione) e quella musulmana – albanese che rappresenta il 25% dei macedoni.

 

Il Parlamento nega la Giornata della Bandiera Albanese come celebrazione nazionale [1]

La Giornata della Bandiera Albanese è un giorno importante per l’etnia albanese che vive in Macedonia e che ogni 28 novembre celebra le proprie origini inneggiando alla propria bandiera. La festa non ufficialmente è riconosciuta nel novero delle celebrazioni nazionali: dopo una prima apertura del primo ministro Nikola Gruevski, macedone, alla richiesta del DUI (partito di governo albanese) di inserire la discussione riguardo la Giornata della Bandiera Albanese nell’agenda del governo, l’assemblea dei rappresentanti del popolo macedone ha chiuso la porta in faccia alle richieste della minoranza albanese: a portare la decisione in tale direzione è stata la strenua opposizione del Partito Socialdemocratico Macedone, che ritiene la celebrazione della la Giornata della Bandiera Albanese un affronto per l’etnia macedone e che questo porti inevitabilmente ad uno scontro frontale: “La Macedonia ha già abbastanza festività nazionali – ha tuonato Gordan Georgiev, vicepresidente del partito – e questa porterebbe all’inasprirsi delle tensioni inter- etniche.”[2]

La decisione da parte del Parlamento macedone di non aggiungere la data in cui si celebra la giornata della bandiera albanese al calendario delle celebrazioni nazionali potrebbe avere una ulteriore ripercussione sui difficili rapporti tra le due etnie macedoni: in seguito a questa decisione del parlamento macedone, gruppi di estremisti albanesi hanno dato alle fiamme la bandiera macedone in numerosi villaggi in Kosovo ed in Albania e si teme che questo fenomeno possa presto verificarsi anche entro i confini macedoni.

Un mese di marzo di violenze

Il “no” alla Giornata della Bandiera Albanese non è altro che l’ultimo episodio di un mese di marzo che ha visto lo scontro frontale tra i due nazionalismi in Macedonia. La violenza etnica in Macedonia non è certo una novità. La tensione è tornata a salire dal febbraio scorso e nelle ultime settimane ha raggiunto la violenza ha raggiunto il suo apice nei giorni centrali di marzo: la nuova ondata di violenza ha avuto origine da un fatto “privato” accaduto il 28 febbraio 2011 quando a Gostivar, piccola municipalità situata a sud di Tetovo, la “capitale” della Macedonia albanese, Jakim Trifunovski, un agente di polizia di etnia slava, ha ucciso Imran Mehmeti e Besnik Shehapi, due ragazzi albanesi, aprendo il fuoco con la propria arma di ordinanza. La ricostruzione effettuata dalla polizia macedone ha escluso che alla base ci fossero motivazioni etniche ed ha avvalorato l’ipotesi di una futile questione privata: i due albanesi avrebbero avuto con il poliziotto, fuori servizio, una discussione per l’occupazione sistematica del loro parcheggio da parte di quest’ultimo.

L’episodio è stato la miccia che ha riacceso il fuoco del nazionalismo albanese nella regione: nella capitale Skopje e a Tetovo, maggiore città a maggioranza albanese situata a circa cinquanta chilometri ad ovest di Skopje, si sono verificati casi di aggressioni ai danni di giovani macedoni e attacchi sugli autobus. A Pristina, Kosovo, l’ambasciata di Macedonia è stata bersaglio di lanci di bottiglie incendiarie da parte della popolazione albanese.
Davanti ai fatti violenti i politici macedoni hanno reagito come si prevedeva con il VMRO-DPMNE (macedone) e il DUI (albanese), i due partiti di governo, che hanno cercato di riprendere il controllo della situazione, mentre il SDSM (macedone) e il DPA (albanese) che sono all’opposizione hanno attaccato pesantemente l’operato del governo.

Una violenza giovane figlia di scelte politiche

Quello che maggiormente colpisce nella natura dei nuovi scontri è la massiccia partecipazione della popolazione macedone più giovane: la violenta escalation, infatti, ha coinvolto in misura predominante i giovani, il livello della violenza è cresciuto ed ha caratterizzato entrambe le fazioni, non solo quella riconducibile alle posizioni nazionaliste della comunità albanese presente nella regione: il peggior episodio di violenza registrato nelle ultime settimane ha visto protagonisti trenta giovani di etnia macedone che armati di mazza da baseball e spranghe di ferro sono saliti su un autobus ed ha colpito tutti i giovani, vecchi, minori e donne di etnia macedone – albanese presenti a bordo.

Il massiccio coinvolgimento dei giovani negli scontri di marzo e il loro avvicinarsi alle tematiche nazionaliste hanno una delle loro radici nel sistema di istruzione che dal 2001, anno degli accordi di Ohrid, ha visto il sistema educativo macedone compiere passi nella direzione della segregazione piuttosto che della integrazione: in questo scenario, riproposto dai vari governi nel corso degli anni, i giovani sono stati ben presto entrati in contatto con i nazionalismi a base etnica presenti in Macedonia.

A questo si aggiunge la frustrazione per la mancanza di prospettive dovute all’alto tasso di disoccupazione (circa il 30%[3]), le ripercussioni sull’economia macedone della crisi greca, l’impossibilità di vedere soddisfatta la richiesta di annessione alla Comunità Europea di entrata nella NATO a causa del veto greco per questioni simbolico – nazionaliste legate al nome e al passato della Macedonia.[4]

Per concludere il discorso relativo alle responsabilità: lo scoppio delle violenze etniche del mese di marzo sembra essere, quindi, la conseguenza delle politiche discriminatorie e nazionaliste delle regole politiche e della struttura di potere presente nel paese. Alcuni analisti non hanno escluso dalla lista dei responsabili del ritorno delle tensioni l’accresciuto nazionalismo macedone, che negli ultimi anni ha potuto contare sull’opera del partito al potere VMRO-DPMNE, che ha investito una quantità considerevole di risorse per dimostrare quanto siano stati antichi, vittoriosi e gloriosi i macedoni e che nel programma ufficiale aveva in passato rivendicato la riunificazione alla Macedonia dei territori a maggioranza macedone attualmente appartenenti alla Grecia e alla Bulgaria affermando il carattere nazionale specifico dei macedoni[5].

Echi di guerra civile: sarà un altro 2001?

La Macedonia sembra oggi rivivere lo scenario della guerra civile del 2001: la guerra del Kosovo incrinò gli equilibri politici macedoni quando il paese dovette riceve l’afflusso di 300,000 rifugiati albanesi provenienti dal vicino Kosovo, che andarono ad ingrossare la componente albanese presente all’interno della Repubblica[6] . In seguito alle prime elezioni libere tenutesi in Kosovo nell’ottobre del 2000 la questione albanese ritornò all’ordine del giorno in Macedonia, dove sul modello dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK) presero vita alcuni movimenti di guerriglia riuniti sotto il nome di UCKm, un gruppo militare che scelse di rilanciare la propria azione per la costituzione di una Grande Albania a livello regionale, vale a dire la riunificazione dei territori che non appartengono alla Repubblica di Albania ma che i nazionalisti rivendicano in virtù della massiccia componente albanese nella popolazione.

Nel febbraio del 2001 l’UCKm uscì dalla clandestinità ed occupò alcuni villaggi albanofoni addossati alla frontiera tra Macedonia, Kosovo e Serbia. L’offensiva dell’UCKm porterà la guerriglia sino alle porte di Tetovo ma verrà ricacciata sulle montagne. Nel marzo del 2001 una decina di uomini del movimento di guerriglia spara sulla polizia a Tetovo mentre l’UCKm riesce a portare i suoi mortai sulle colline per bombardare la città Le rivendicazioni riprendevano le linee del programma del Movimento popolare del Kosovo in cui si diceva che una parte della nazione [era] ancora sotto il gioco dell’oppressione in Serbia, Macedonia e Montenegro. […] La questione albanese nei Balcani non è ancora risolta, perchè la situazione degli albanesi in Macedonia, in Montenegro e nel Kosovo orientale è quella di un popolo oppresso.[7] I nazionalisti radicali albanesi si sentivano maltrattati dai macedoni nonostante la comunità albanese godesse dello status di minoranza riconosciuta con propri partiti politici, propri giornali, radio, televisioni ed il riconoscimento dell’insegnamento della propria lingua nelle scuole elementari e medie. Temendo che anche in Macedonia si verificasse quanto accaduto in Serbia, i partiti politici macedoni hanno sempre cercato di collaborare con i loro omologhi albanesi.

La breve guerra civile in Macedonia si concluse con gli accordi di Ohrid, firmati il 13 agosto 2001 che posero fine al conflitto armato; questi comprendevano l’impegno a una maggiore autonomia a livello locale, attraverso il decentramento di alcune funzioni ai governi locali e l’aumento delle risorse locali. In particolare gli accordi considerano la riorganizzazione del governo locale come lo strumento più importante per la tutela degli interessi delle minoranze.
Anche se la paura è tanta, soprattutto tra la popolazione, la situazione è ora diversa: mentre nel 2001 la guerriglia era portata avanti da gruppi organizzati, con una catena di comando e capaci di entrare in possesso di armi, gli episodi di questo mese di marzo sono di altra natura non essendo “organizzati” . Da non trascurare il fatto che il partito albanese DUI, erede politico dei movimenti di guerriglia, è diventato stabilmente un forza governativa. Nel caso gli scontri continuassero, quindi, un pericolo reale e concreto sarebbe quello di una crisi politica che porterebbe con sé instabilità nel Paese piuttosto che condurre verso una nuova guerra civile.


NOTE:

1 Sinisa Jakov Marusic, Macedonia disappoints Albanians on Flag celebration, articolo pubblicato sul sito Balkaninsight, il 28 marzo 2012,(http://www.balkaninsight.com/en/article/macedonia-won-t-celebrate-albanian-flag-day)
2 Sinisa Jakov Marusic, Macedonia Opposition sees red over Albanian Flag Day, articolo pubblicato sul sito Balkaninsight, il 21 marzo 2012 (http://www.balkaninsight.com/en/article/albanian-flag-day-anniversary-disputed-in-macedonia)
3 Ministero degli Affari Esteri e Agenzia Nazionale per il Turismo, Macedonia, rapporto congiunto di Ambasciate/consolati/Enit 2012, consultabile al seguente indirizzo http://www.esteri.it/MAE/pdf_paesi/EUROPA/Macedonia.pdf
4 Il nome ufficiale della repubblica macedone è Former Yugoslav Republic of Macedonia (FRYOM). La Grecia, infatti, considera l’uso del nome Macedonia e la comparsa di un simbolo dell’antichità macedone costituissero un’appropriazione indebita e una rivendicazione irredentista nei confronti della macedonia greca. Solo nel 1995 la Grecia ha riconosciuto al nuovo Stato il nome di Former Yugoslav Republic of Macedonia (FRYOM) e il simbolo per la nuova bandiera macedone.
5 Jean-Arnault Derens, La Macedonia a rischio d’implosione?, “Le Monde Diplomatique”, ottobre 2001.
6 Franzinetti Guido, I Balcani dal 1978 a oggi, Carocci, Roma, 2010, p. 107.
7 Manifesto del Movimento Popolare del Kosovo riportato in Christophe Cliclet, La Macedonia, ultimo fronte della “Grande Albania”, “Le Monde Diplomatique”, aprile 2001, p. 18.

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